Il popolo affamato e stremato dai dazi imposti, ormai raccolti come sol dovuti per mantenere la struttura di corte, armata di forconi urla e bussa con forza, sperando di abbattere del castello i portoni.
Studia e sogna come varcare le mura, scavalcando recinzioni o scalando per far non si bene che, mentre si racconta di feste e di orge, di taluno che ha trovato fortuna o peggiore nemico sia diventato nel divenire di corte.
I regnanti di dinastia o eletti anche con le migliori intenzioni dal popolo, son vittime dell’apparato di corte, che è l’unico a godere da sempre ed ancora dei veri privilegi.
Tra loro tutti : regnanti e nobili , vassalli e apparti di corte, ci stannno anche degli onesti che hanno ben compreso il problema, ma difficile è muoversi a palazzo, si narra di divenuti statue a decoro del castello.
La casta composta da burocrati, nobili e apparato di corte non è eleggibile, non sostituibile, per cui chi regna non sta sul trono, ne tra quelli di loro che han capito il problema.
Da tempo il peggio del sistema, compreso il contesto, lancia parte d’alimenti e armi ad altra parte del popolo a ladroni e trafficanti. Seminano il terrore e spadroneggiano al di la delle mura, al fine di coltivare confusione e terrore nemico della possibile invasione della corte.
Dalla grecia si odono grida, dapprima levatesi dall’apparato di corte, ma giungono voci che di quelle terre fossero interessi diversi ad aver decretato la messa a morte del paese e del suo popolo, per cui ora tutto tace o se ne sente a secondo della voce che narra.
I romani si fanno forti, sperando in un qualcuno che si avvicendi al trono di corte, ma nell’attesa il popolo giace dove il villano finisce, senza aver capito che è lui stesso il problema che sostiene la corte.