odio questa Italia che va in ferie .. che chiude e si ferma tutto…
per tutto l’anno ti senti dire: sentiamoci dopo agosto, dopo pasqua, dopo natale…dopo qualcosa sempre, in altri paesi ti dicono: si o no in qualsiasi giorno dell’anno, e si fa avanti un altro. Non vivi di rimandi continui ed estenuanti.
Cosi avevo scritto in un post ed Elena risponde: Le aziende dovrebbero fare come gli ospedali, stare sempre aperte come la concorrenza, ma ti giro invece la risposta di una mia collega in merito 🤣:
Ma tu sei matta!!!! Tanta manna che le persone vanno in ferie! Si vede che all’estero facendo cosi sono tutti rincretiniti 😅
Oltretutto le ferie sono un costo per l’azienda se accumulate. Quindi se chiude le smaltisce!!!
Elena gli risponde: Se restassero aperte anche ad agosto ogni anni credo che vendite e fatturato aumenterebbero molto.. Se cerchi un lavoro e hai bisogno di un guadagno ti dicono bisogna aspettare a Settembre e cosi in altri periodi dell’anno. Gli HR (HUMAN RESOURCE = agenzie per l’occupazione e responsabili personale) sono in ferie. Ma intanto c’è chi magari non può farle e cerca un lavoro deve attendere perché chi lo ha va in vacanza.. e cosi in tante altre cose 🤦🏻♀️.
Sempre dover attendere il godere e beneficiare d’altri, nella pausa pranzo, nel caffe da bere, nelle riunioni da finire, nella telefonata in corso.. pure la video conferenza ora. Sembra di vivere l’alibi nel passato di : Mi spiace, manca un timbro, torni domani.
Ha sicuramente ragione Elena al di la del punto di vista personale:
Fare le ferie durante l’anno aumenterebbe l’occupazione complessiva, per sopperire alla rotazione delle ferie da godere durante l’anno. Si ottimizzerebbe l’utilizzo infrastrutturale, rimanendo sempre in uso immobili produttivi e uffici o attrezzature ed impianti. Il mercato turistico diluirebbe le presenze e meno punte di concentrazione di presenza (minimo comune denominatore d’uso, non servirebbe un albergo di 100 stanze occupato solo 2 mesi e tutto il resto che ne consegue, inutilizzato per la maggioranza del tempo). Forse costerebbe meno andare in vacanza durante l’anno e sarebbe sicuramente meno caotico. Post covid anche meno problematico salutisticamente !
MA CHI HA INVENTATO LE FERIE? CHE SENSO HA FERMARE TUTTO IN ESTATE, A PASQUA E NATALE ?
Viviamo ogni giorno innovazioni che hanno cambiato il nostro modo di vivere, con molte ricadute anche economiche sulla nostra quotidianità.
Ma è sempre successo cosi. Nel passato impiegavano decenni per essere introdotte.
Abbiamo avuto modo di studiarle a scuola: dal telegrafo senza fili all’introduzione della elettricità. Prodotta o stoccata nelle pile o accumulatori, usata per illuminazione o trazione, per arrivare alla radio e televisione.
Alcune evidenti innovazioni, come il colore in TV o in altre tecnologiche, sono state evoluzione e preclusione di altre funzionali, come la sostituzione del tubo catodico con lo schermo a LED, che ha consentito l’alta definizione e la tri-dimensionalità nelle immagini televisive, creando nuovi mercati e occupazione.
Altre accessorie e di comodità, quali il telecomando che ha favorito il proliferare di canali tematici ed il suo facile zapping, per indurci ad arrivare alla parabola e alla tv on demand, ammazzando tecnologie recenti come la video cassetta, ed il cd a nolo dei film.
Mercati che hanno vissuto una vita breve, divenuti obsoleti nel giro di pochi anni
Hanno introdotto le vere rivoluzioni culturali, nel potere fruire e godere d’immense librerie di contenuti ed intrattenimento, spesso prodotti in diretta per assistere a momenti epocali dal proprio divano: la rivoluzione in Romania, le guerre, le catastrofi, scontri politici e fatti che hanno condizionato il globo con il filtro che l’informazione ha saputo applicare o agire o film che hanno accresciuto il nostri bagagli culturali e di conoscenza.
L’accelerazione dell’innovazione tecnologica supera i tempi di consolidamento
per arrivare a soluzioni d’esigenze fino al giorno prima irrisolte o addirittura non emerse nel consolidare quelle appena introdotte. L’avvento del cellulare ed internet sono solo gli ultimi esempi per come il mezzo innovativo, inteso come prodotto, sia solo lo strumento con cui le masse ed interessi implementano nuove forme di business, intrattenimento e condizionamento della vista quotidiana o la sua stessa evoluzione. Aumento di cultura e conoscenze, che non sempre portano a creare nuovi posti alla velocità in cui rendono desueti altri mercati, in contropartite che non sempre si bilanciano.
La distanza, la fruibilità, la velocità, l’interazione sono stati gli elementi cavalcati per superare barriere, abbattute dallo sviluppo delle tecnologie digitali, rimanendo saldi alcuni principi e vincoli che l’umanità ed il complesso delle cose non riusciva a superare, confinati sul terreno delle caratteristiche storiche o fisiche che governano le relazioni e tutto quanto ne consegue del vivere quotidiano.
Non è solo l’ambito della comunicazione ad esserne fruitore e vittima.
L’avvento nei processi manufatturieri, inizialmente con l’introduzione del controllo numerico e recentemente delle stampanti 3D, affermati strumenti per migliorare l’aspetto produttivo, hanno e stanno rivoluzionando il modo del lavoro fisico e del produrre. Ponendo seri problemi anche di modello, con ricadute sociali, per quella voce che chiamiamo lavoro e fonte del reddito quotidiano di molti abitanti di questa terra, che insieme all’evoluzione dei sistemi di trasporto, contribuiscono oltre a far mangiare in Europa le ciliege fatte in Sud America, minano ulteriormente equilibri contribuendo a delocalizzare il lavoro.
Macchine e strumenti che risolvono aspetti della produzione seriale in grandi volumi della produzione o del soddisfare la prototipazione e la stampa di pochi pezzi personalizzati e riprodotti, introducendo il mercato della dematerializzazione del prodotto.
Rivoluzione della logica del produrre, immagazzinare, spedire, consegnare i prodotti. Ponendoci alle porte di una nuova fase industriale ben riassunta nella frase “se vuoi il mio prodotto ti mando il file e stampatelo” o nell’alimentazione con dispositivi che arrivati a casa sanno e hanno prodotto il cibo adatto alla quantità di calorie consumate nelle giornata, secondo i propri migliori gusti o il fabbisogni di una sana alimentazione.
Molte e tante di queste innovazioni migliorano la vita e moltiplicano possibili scenari futuri.
S’introduce internet delle cose, consci sia l’anticamera della “pratica degli avvisi”. Un telefono Android, di cui s’utilizzi la comoda agenda, è facile avvisi di dover anticipatamente il partire causa un incidente accaduto sul percorso. Ma chi vieta che inviti a fermarsi a acquistare un capo lungo il percorso in offerta o non possa suggerire tutto quanto sia “il preferibile vivere o fare” sulla base dei mi piaci in gusti e preferenze espresse, raccolte e censite dai nostri stessi comportamenti in rete e nei nostri spostamenti, segnali in informazioni elaborabili per arrivare a calcolare il nostro modo di essere ed a consigliare chi votare, cosa comprare, dove andare. Riconoscendogli il ruolo di miglior amico e consigliere, che sa tutto e meglio indirizza noi stessi e la nostra capacità cosciente di vivere, elaborare, pianificare la nostra vita.
La caduta delle monete locali, delle frontiere e la globalizzazione, le connessioni alla rete contribuiscono e portano sempre maggiormente ad abbattere quei confini che vincolano il nostro modo di vivere, conoscerci, parlarci, crescere. Per avere ricadute su noi stessi e chi sta intorno a noi. Restano alcuni baluardi nella differenze culturali e linguistiche, per altro contaminabili nel modo dell’informazione, o degli esodi di massa per fame e lavoro, o da quello globale dei prodotti e della finanza, che ci caratterizzano e differenziano.
Uno di questi aspetti è la lingua parlata, con cui le persone si relazionano.
Forti che una lingua possa essere il riferimento per tutti. Le economie prevalenti che l’hanno propria, sono predominati, quali aggregatori o incroci culturali e politici di tutte le altre. Ma forse anche qui siamo alle porte dell’innovazione tecnologica che tende uno sgambetto alla posizione di rendita, linguistica di alcune popolazioni e territori, travestita da comodità d’uso.
Conosciamo ed usiamo tecnologie che leggono il testo o viceversa, ascoltano e rendendo testuale il parlato. Una semplice applicazione da cellulare riconosce il testo scritto in qualsiasi lingua, consentendoci di leggere nella nostra lingua madre, in tempo reale sul display del nostro telefonino o applicata agli occhiali che indossiamo. La stessa tecnologia suggerisce agli ipovendenti oggetti e riconosce persone. Guidando o controllando meglio di noi stessi le auto o i mezzi con cui ci muoviamo.
La sensazione di poter dialogare, con l’intermediazione di un traduttore simultaneo tecnologico, che è una recente innovazione introdotta in skype, supera ogni fantasia nel renderci liberi di essere cittadini del mondo, interloquire con popoli diversi senza un referente unico, con una modalità diretta ed immediata, non filtrata e non intermediata, non modulata e spesso involontariamente viziata da colui che la diffonde. Consentendo inserire un ulteriore elemento di conoscenza nelle nostre relazioni anche personali.
Il messaggio del Papa potrà essere ascoltato in ogni lingua del mondo in tempo reale al pari del discorso di un rappresentante universale (o di un stato predominante) al cospetto della popolazione della terra. Ma anche di un terrorista o di una madre che piange la morte del figlio o del singolo che dia ragione di uno stato o fatto. Documentando, giustificando e motivando le ragioni che hanno portato a comportarsi in quel modo o in quella situazione, che oggi leggiamo e conosciamo mediate e filtrate da chi le fa conoscere a noi, spesso condizionate da elementi che consentano una sostenibilità propria nel farlo. Ma sopratutto senza che sia una lingua comune a farci da riferimento e non la traduzione diretta tra una lingua e l’altra, ed in tempo reale.
Non è difficile ipotizzare che la tecnologia necessaria stia applicata in una stanghetta nei nostri occhiali o un bottone nel nostro orecchio, per farci capire (ottenere tradotta nelle nostra) ogni lingua in tempo reale. Siamo alle porte del dover affrontare forse una nuova piccola innovazione tecnologica. Si propone di risolvere un esigenza, che produce e sostiene molti posti lavoro dediti alla traduzione delle lingue parlate a scapito di altri nuovi minori in numero d’occupati. Abbatterà un altro ostacolo naturale del processo di globalizzazione e integrazione tra le persone in questo mondo ?
Ogni lingua parlata a portata di ogni ascoltatore, o di chiunque ?
Pubblicato su http://corriereinnovazione.corrieredelveneto.corriere.it del 21-febbraio-2013
La Ricerca e Sviluppo nelle PMI ?
LA FACCIANO LE STARTUP !
Adottare giovani startuppari in azienda:
un modo semplice e poco costoso per portare l’innovazione nel cuore della produzione
«In un’azienda di 100 persone, non tutti coloro che ci lavorano si conoscono tra loro. In alcuni casi diventa più importante far vedere che si sta lavorando, più che lavorare davvero. Le startup sono importanti perché sono piccole. Dato che la dimensione e la complessità di un affare è pari all’incirca al quadrato delle persone coinvolte, le startup sono in una posizione unica per abbassare i costi di coordinamento e interni per riuscire a realizzare gli obbiettivi». Queste parole sono prese da Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e investitore della Silicon Valley. Dovrebbero essere di monito per tutte le aziende del mondo. Soprattutto quando «realizzare gli obbiettivi» vuol dire lanciare un nuovo prodotto o penetrare in un nuovo mercato. Gli imprenditori che hanno realizzato la loro idea, soprattutto nelle piccole e medie imprese, sono spesso di fronte alla mancanza di entusiasmo ed energie necessarie per lanciarsi in una nuova avventura.
Come far crescere quindi l’azienda? Non tutti hanno la possibilità di aprire una sezione di ricerca e sviluppo interna. La maggior parte delle PMI italiane dispone però di strutture, spesso sottoutilizzate, che potrebbero ospitare nuove avventure imprenditoriali se prese in carico dalle mani giuste. Quali mani? Quelle di chi ha l’entusiasmo necessario, le idee e le competenze per lanciare una startup innovativa. Ci sono in questo momento molte opportunità per le imprese tradizionali, anche in settori apparentemente ipersfruttati e considerati decotti. E’ un buon momento per coniugare l’innovazione e il rinnovamento cercando nuove strade alternative nella gestione di ricerca e sviluppo, nei costi e investimenti, con lo scopo di aprire nuove brecce nei mercati di riferimento o in mercati che non erano stati presi in considerazione. Nuove occasioni per fare nuovi profitti, anche se condivisi con altri imprenditori (i cosiddetti startuppari).
Gli imprenditori abituati a essere curiosi e a dare un’occhiata in ogni opportunità di guadagno potrebbero pensare di dare a dei giovani con delle buone idee una scrivania, un telefono, un ufficio, un brand come parte del proprio core business. Farli fatturare ai clienti usando l’azienda già esistente, che ci piace chiamare «chioccia», segnando spese e ricavi. Parlando con gli startuppari, gli imprenditori possono offrire i contatti dei clienti già acquisiti e potenzialmente interessati, oltre che guidare nei contratti e nelle prime vendite. La ricerca e sviluppo fatta in questo modo (scegliendo tra le numerose startup e offrendo un’opportunità) permette di dare agli startuppari uno stipendio non appena c’è un guadagno, coprire le spese non appena c’è la possibilità, dividere i profitti quando ci saranno.
Possiamo immaginare le startup come divisione di un’azienda già esistente, destinata al lancio di un nuovo prodotto e mercato. Di fronte all’imprenditore, un altro imprenditore (solitamente più giovane) disposto a rischiare quasi tutto pur di realizzare il suo sogno. Questo è quello che proponiamo con il modello «Adotta una start-up». Azzerare i costi fissi di ricerca e sviluppo e quindi aprire al massimo le possibilità di creare nuovi prodotti e trovare nuovi sbocchi commerciali. Nelle PMI, soprattutto in quei settori di mercato che sono cambiati notevolmente per via di globalizzazione e tecnologia, potrebbe essere molto difficile trovare una strada per lanciare qualcosa di nuovo che permetta di restare competitivi. Abbandonare certezze produttive per investire nell’innovazione è spesso paragonabile a fondare una nuova azienda. Con una grossa differenza: il fallimento di una nuova azienda potrebbe avere dei costi molto minori. Un team che si lancia in una nuova impresa è spesso entusiasta della propria idea e decide di lavorarci giorno e notte, se necessario, soprattutto nella fase di avvio. Un entusiasmo che non in tutte le imprese tradizionali è facile trovare.
Pubblicato su http://corriereinnovazione.corrieredelveneto.corriere.it del 7/Feb/2013
NON SERVONO SRLS SE C’È UN IMPRENDITORE ILLUMINATO E UN RAPPORTO DI FIDUCIA
Lettera aperta agli startupper: «Il capitale sociale è importante. Perché non provare a nascere come brand di un’altra azienda?»
Si è tanto parlato delle Srls, la nuova forma di società di capitali che dovrebbe rendere più economico e snello creare aziende con un capitale sociale di un euro. Scomparirà la prassi di aprire con mille euro una società negli Stati uniti, utilizzata da molti startupper soprattutto nel campo digitale / web / software? Difficile prevederlo.
Quello che ci sentiamo di dire è che queste nuove società nasceranno un po’ zoppe. Molti giovani pensano che il capitale sociale versato sia da vedere come una sorta di immobilizzazione da segnare su un bilancio, e per questo si sono rivolti negli ultimi anni oltreoceano per i loro sogni di impresa (spesso senza nemmeno prendere un biglietto aereo). In realtà il capitale sociale, come sanno bene gli imprenditori del mondo «reale», è anche una questione di immagine, un segno di solidità, un qualcosa su cui fare affidamento.
Anche molto concreta: quale fido accorderanno le banche a una società in cui i fondatori non hanno investito nemmeno un euro? Chi avrà interesse a fare un contratto con una società i cui soci risponderanno alle obbligazioni fino a 1 euro? E via dicendo. Se il sistema Italia vuole crescere, gli imprenditori e gli startupper devono trovare il modo di andare oltre, e a volte anche contro, le leggi e leggine che imbrigliano in norme e commi la fantasia e la voglia di fare impresa. Serve fiducia, in quest’alleanza ipotetica tra imprenditori tradizionali e imprenditori in potenza, che permetta di superare gli ostacoli. Un’azienda può scegliere di nascere anche non come azienda, ma come semplice «brand», come prodotto o nuovo mercato, all’interno di un’azienda esistente. Come abbiamo raccontato in adottaunastartup.com, agli imprenditori diciamo di dare una scrivania e di segnare tutti i conti su un foglio di calcolo. Dividere le prime spese, dividere i primi profitti. Magari le spese le si possono dividere anche dopo i primi profitti, lasciando che sia l’azienda già esistente a farsene carico.
Non serve lanciare una nuova azienda per stampare in maniera innovativa delle scarpe personalizzate, si può andare in un’azienda di scarpe e lanciare il prodotto dall’interno di una struttura già esistente. Non solo è più economico, ma anche più rapido ed efficace. Perché lo startupper mette la passione al servizio dell’impresa. Perché l’imprenditore mette la conoscenza delle dinamiche del mercato al servizio dell’impresa. Perché la fiducia tra queste due figure permette di scavalcare i mille modi e i centomila costi accessori con cui viene spesso soffocato lo spirito dell’innovazione italiana.
Internet ha permesso la creazione di iniziative che hanno usato l’intelligenza collettiva di numerose persone per raggiungere obbiettivi prima impensabili. La più grande enciclopedia del mondo, Wikipedia.org, si basa sulla passione e il lavoro volontario di milioni di collaboratori che hanno apportato 20milioni di voci e 77 milioni di pagine (modificate 1 miliardo e 200 milioni di volte). Il numero degli utenti registrati all’inizio dell’anno era di 32 milioni di utenti.
Intelligenza collettiva
Quanto wikipedia.org ha fatto risparmiare alle imprese e all’economia mondiale?
Il suo impatto è incalcolabile, anche solo nella velocità di risparmio di tempo nel trovare informazioni che in alcuni campi (come quello scientifico e informatico) sono più accurate dell’Enciclopedia Britannica.
L’utilizzo dell’intelligenza collettiva si può usare anche a livello aziendale e non solo per progetti senza scopo di lucro.
Per farlo si possono lanciare dei concorsi di idee. Tipico esempio è il caso dell’industria del turismo, dove sono
molte le amministrazioni pubbliche che hanno lanciato concorsi di fotografie: si iscrivono decine di partecipanti
che fotografano gli angoli più belli del territorio, fotografie da riutilizzare per cataloghi, brochure, siti internet
e la comunicazione in generale.
Similmente, le aziende private possono provare a lanciare richieste di idee e affidare il lavoro a chi presenta quelle migliori. È un metodo ormai ampiamente diffuso nella pubblicità e nella comunicazione.
Il modello per funzionare deve offrire ai partecipanti qualcosa di valore:
non necessariamente economico, anche la sola possibilità di essersi messi in competizione (pur senza vincere) può essere uno stimolo sufficiente in molti settori. Il
per l’imprenditore è la possibilità di vagliare tra numerose alternative e scegliere quella che viene considerata più efficace.
Trasformare l´uso dei social network da parte dei propri dipendenti in un´occasione di promozione
Quando Internet è entrata nei nostri uffici, noi amministratori fin da subito ci siamo posti il problema di capire come usare questo strumento per la produttività senza offrire ai nostri dipendenti ottime scuse per perdere tempo.
La navigazione, è ovvio, può portare a enormi distrazioni. Oggi in un ufficio è molto difficile però stare senza la possibilità di navigare.
C´è chi ha deciso di chiudere del tutto l´accesso a determinati siti. Altri invece hanno trasformato l´uso dei social network da parte dei propri dipendenti in un´occasione di promozione aziendale.
In Servizi Internet abbiamo molti brand e servizi, quasi tutti molto noti nel panorama nazionale. Usiamo Facebook, Twitter, Youtube e altri canali come Google plus per raccontare la nostra vita quotidiana, cosa fanno i dipendenti, ci fotografiamo e mostriamo come le persone (Linkedin) siano il vero valore aggiunto in un´azienda come la nostra
Fin dall´inizio ci siamo posti un problema etico non da poco. Un conto è creare una pagina ufficiale di un´azienda e decidere chi la aggiorna. Ma come porsi nei confronti dei dipendenti che possiedono un loro profilo sui social network e di cui vorremmo avere i commenti, che diffondessero le notizie e le foto aziendali e che promuovessero le iniziative?
Abbiamo chiesto ai dipendenti di crearsi, oltre al profilo personale sui social network, uno aziendale. Chi non ha voluto, ha continuato a usare i social network con l´accortezza di essere politically correct nei confronti dell´azienda: gli chiediamo di fare “mi piace”, di commentare in senso positivo le nostre iniziative e caso mai non le condividesse di non dire nulla.
In questo modo sempre più persone , simili a noi, ci trovano sui social network e sanno che in azienda ci sono persone che ogni giorno lavorano, per gestire e mantenere i servizi.
Le startup e la crisi potrebbero convogliare ad un matrimonio d’interesse. Tel Aviv, che è più vicina e simile all’Europa rispetto alla Silicon Valley, lo ha dimostrato. Anche solo partendo dall’orgoglio nazionalistico e da un immagine da Pizza e Mandolino come immagine diffusa nel mondo: si può fare.
In questo momento il Paese è pieno di giovani diplomati o neolaureati ricchi di spirito imprenditoriale e di voglia di dimostrare con impegno il valore delle loro idee e del loro poter lavorare. Una generazione con le tasche vuote alla ricerca di facili fortune, come poter esportare o trasferirsi all’estero, simbolo della fuga di cervelli altrimenti destinati a essere materia di contratti strumentalmente sottopagati e temporanei.
Il rischio e’ che si riveli l’ennesimo caso della star momentanea del Grande Fratello, sfruttata per la sua bellezza a suon di popolarità e facili guadagni, che presto sfruttata si sgonfia per tornare a essere un signor nessuno deluso e maggiormente affranto.
Frequentando, come il sottoscritto, ogni incontro a tema di Startup e Innovazione ci si rende conto di come gira il sistema, come anche si notano facilmente alcune peculiarità e presunzioni di alcuni interventi (che esulano da queste note).
Di cosa c’è bisogno di fronte a queste proposte d’innovazione? É necessario canalizzare gli incentivi e condirli con adeguati suggerimenti normativi, che possono favorire la crescita e lo spazio di nuove aziende. Queste non devono nascere solo come nuove realtà avulse o troppo sognatrici, ma avere la forza di farlo radicandosi nel territorio, ponendo un alternativa alla fuga di cervelli e la ripresa dal basso verso l’alto.
Da una parte c’è l’esperienza, la necessità d’innovarsi, di trovare nuovi sbocchi, di ristrutturare e ringiovanire, di molte delle aziende esistenti. Queste devono poter diventare incubatori (o chiocce) di nuove aziende, il cui motore sia uno o più startupper, per realizzare una ripresa produttiva e crescita anche nel breve. Nel mutuo bisogno e simbiosi tra i due (e piu’ soggetti attori) si nasconde un possibile successo, che tornerebbe utile a tutti tradotto in occupazione e crescita della ripresa.
Trasformare le vecchie aziende in luoghi dove far nascere le nuove permetterebbe di trovare soluzioni ai problemi determinati dalla crisi (di cui l’innovazione sembra l’unica strada ad aver dato risultati) e risposte allo sforzo di problematiche emergenti ed evidenti del supportare il mondo delle startup o di giovani intraprendenti senza alcuna esperienza di gestione.
Sicuramente è necessario disegnare un giusto ruolo e inquadramento ad ogni attore, in salsa di opportunita’ vincolanti ma stimolanti: imprenditori e Venture Capital/Business Angel, occupati e disoccupati o cassaintegrati da riattivare, startupper e idee innovative, enti bancari e servizi accessori o indotti.
Ci si riferisce ad un processo di “riconversione per innovazione indotta”, un percorso che in passato ha già dato buoni frutti sotto forma d’investimenti produttivi di macchinari o strutturali e di riqualificazione formativa, da sviluppare in chiave attualizzata e contestualizzata.
L’imprenditore non deve essere per forza illuminato, non è un fatto di cultura l’ostacolo in questo caso, superabile se stimolato o rispondendo concretamente all’esigenza di proteggere la propria creatura, suggerendo strumenti e misure per virare in una nuova direzione, quella della ripresa. Anche il più vecchio e conservatore imprenditore o il più riluttante giovane startupper, capirebbero subito il vantaggio reciproco di questa nuova strada da percorrere insieme. La crisi o la necessità di far continuare a vivere o crescere le proprie idee ed aziende è motivo o presupposto della speranza d’interesse, leva motivazionale verso nuove mete.
La scuola bottega artigiana in nuova veste, per molti versi ne è una consolidata traccia storica o modello, la cui variante deve essere quella del creare un giovane imprenditore socio o amministratore della nuova azienda a fianco del mentore che lo adotta, non le formule fino ad oggi viste e vissute o sfruttate.
Non occorrono nuove forme contrattuali e civilistiche, ne esistono gia’ che rispondono in modo soddisfacente con precisi istituti a queste forme di progetto o dal punto di vista dello startupper che consentono di evitare il ricorrere a nuove società e forme societarie o al costituirsi di società estere in paesi meno burocratici o di più facili vincoli normativi, per ospitare iniziali nuovi brand o attività che le supportino, nell’avventurarsi verso nuove innovative mete reciprocamente gratificanti. Non occorre distrarre l’ordinaria gestione di un azienda esistente, viceversa l’ospitante ne potrebbe anche trovare evoluzione e crescita, quale sbocco alternativo al proprio obsoleto o incerto futuro.
Il Venture Capital o Business Angel o agenzie nelle pratiche di Finanza Agevolata se non strutture indirettamente Bancarie, che nell’accezione popolare oggi sembrano muoversi come un moderni speculatori o opportunisti finanziari, potrebbero trovare un naturale e propositivo ruolo quale tramite finanziario (in autonomia propria o per l’accesso al credito) nella gestione nella figura d’advisor o curatore delle nuove relazioni, visioni, paradigmi, norme in sorta di coach operativo o mentore, dell’adozione startupper/impresa, che porterebbe beneficio e ruolo anche a nuovi attori.
Si potrebbe azzardare che ne possano beneficiare risorse umane già disponibili o posteggiate, quali le masse disoccupate e dissuase al lavorare, in una chiave di riqualificazione professionale, affiancabili ai lavoratori occupati dell’azienda ospitante, che ne sarebbero anch’essi fiduciati in una prospettiva alternativa. Specialmente nel caso di quelle predestinate a spegnersi, costituendo la fonte di erogazione immediata di un’organizzazione strutturale, che la nuova azienda diversamente dovrebbe creare e sostenere. La sotto utilizzazione strutturale da contrazione di mercato ne è la naturale certa disponibilità e la motivazione di vedersi collocati in nuove prospettive.
Non servono soldi di stato, solo supporto e inviti o guide ed indicazioni normative, che evitino il ripetersi di erogazioni di finanza agevolata strumentale ad altro, per il tramite di soggetti diversamente interessati. Mentre defiscalizzazioni specifiche, che si rapportino ai soli nuovi ricavi o favoriscano nuovi asset all’interno delle azienda ospitante o newco, non sottrarrebbero l’ordinario gettito fiscale e ne sarebbero lo stimolo evidente.
In una buona famiglia quando il lavoro o la prospettiva di un componente diventa una nebulosa variabile, si cerca una via di riposizionamento del coniuge, in una collocazione che veda nel futuro alternative al passato che decresce e si estingue.
Finanziare o sostenere la costruzione di “nuove case” e diverse leve (competenze ed esperienze) richiede un maggiore sforzo e tempo che la società e il substrato di micro e medie aziende esistenti non può subire e sopportare.
E’ sicuramente piu’ redditizio e vicino nel tempo il contribuire a ristrutturare e rinnovare l’esistente, per non rischiare di rimanere con nulla di nuovo, con il rischio di aver azzerato il consolidato di esperienze e strutture che oggi ancora vivono o spesso sopravvivono ridotto a tenue lumicino.
Uno o piu’ giovani partner adottati da un laboratorio artigiano di falegnameria o un’azienda di servizi, potrebbe con la loro visione, idea, entusiasmo, conoscenza dei nuovi strumenti e senza nuovi iniziali investimenti (o se utili a se stessi e al creare indotto, studiamo come sostenerli) realizzare nuove linee di prodotto (mobiletti per computer) aprendo nuovi canali di vendita ( e.commerce) , di certo trasferendo le conoscenze apprese ma mai messe in pratica, sfruttando la familiarità della competenza digitale di nascita, per promuovere con la visione non prevenuta del mercato o di un nuovo approccio metodologico, chi gia’ esiste. Potrebbero alternativamente, in aziende di servizi, identificare mercati o esigenze realizzando programmi per non vedenti, presentandolo alla prima convention Apple, per conquistare nuovi mercati (vedi Luca Ciaffoni o altri esperienze simili vedi Federico Feroldi) anche di esportazione di competenze (vedasi casi Funabol di Fabrizio Capobianco) fermo restando la produzione e l’occupazione locale, per esportarne il risultato. Sicuramente analoghi casi si svilupperebbero nel mercato dei bulloni o del tondino, dei tessuti o della formazione.
Perché investire e concentrarsi solo nel nuovo, non curandosi dell’esistente, che tende ad essere asfittico o morire? Come rinnegare la saggezza ed esperienza del nonno o la comodità di vivere in una casa già attrezzata e servita?
E’ necessario cortocircuitare le aziende e le nuove leve in un solidale matrimonio d’innovazione multi settore, fruttifero per nuovi attori di domani e per i presenti in affanno.
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Questo vuole essere un spunto, non un tiro a segno di obbiezioni e preconcetti da superare ( sperando che non si celino nella malevolenza da non tutelare interessi diversi), resto in attesa di ogni spunto, segnalazione, casistica su cui applicare la tesi d’adottare uno o più startupper in ogni azienda che ne comprenda la potenziale leva per la ripresa e l’occupazione, cosi da creare nuove aziende da azienda, che possa contribuire anche dove possa sembrare il tentativo di non sostenerne il valore.