Le startup e la crisi potrebbero convogliare ad un matrimonio d’interesse. Tel Aviv, che è più vicina e simile all’Europa rispetto alla Silicon Valley, lo ha dimostrato. Anche solo partendo dall’orgoglio nazionalistico e da un immagine da Pizza e Mandolino come immagine diffusa nel mondo: si può fare.
In questo momento il Paese è pieno di giovani diplomati o neolaureati ricchi di spirito imprenditoriale e di voglia di dimostrare con impegno il valore delle loro idee e del loro poter lavorare. Una generazione con le tasche vuote alla ricerca di facili fortune, come poter esportare o trasferirsi all’estero, simbolo della fuga di cervelli altrimenti destinati a essere materia di contratti strumentalmente sottopagati e temporanei.
Il rischio e’ che si riveli l’ennesimo caso della star momentanea del Grande Fratello, sfruttata per la sua bellezza a suon di popolarità e facili guadagni, che presto sfruttata si sgonfia per tornare a essere un signor nessuno deluso e maggiormente affranto.
Frequentando, come il sottoscritto, ogni incontro a tema di Startup e Innovazione ci si rende conto di come gira il sistema, come anche si notano facilmente alcune peculiarità e presunzioni di alcuni interventi (che esulano da queste note).
Di cosa c’è bisogno di fronte a queste proposte d’innovazione? É necessario canalizzare gli incentivi e condirli con adeguati suggerimenti normativi, che possono favorire la crescita e lo spazio di nuove aziende. Queste non devono nascere solo come nuove realtà avulse o troppo sognatrici, ma avere la forza di farlo radicandosi nel territorio, ponendo un alternativa alla fuga di cervelli e la ripresa dal basso verso l’alto.
Da una parte c’è l’esperienza, la necessità d’innovarsi, di trovare nuovi sbocchi, di ristrutturare e ringiovanire, di molte delle aziende esistenti. Queste devono poter diventare incubatori (o chiocce) di nuove aziende, il cui motore sia uno o più startupper, per realizzare una ripresa produttiva e crescita anche nel breve. Nel mutuo bisogno e simbiosi tra i due (e piu’ soggetti attori) si nasconde un possibile successo, che tornerebbe utile a tutti tradotto in occupazione e crescita della ripresa.
Trasformare le vecchie aziende in luoghi dove far nascere le nuove permetterebbe di trovare soluzioni ai problemi determinati dalla crisi (di cui l’innovazione sembra l’unica strada ad aver dato risultati) e risposte allo sforzo di problematiche emergenti ed evidenti del supportare il mondo delle startup o di giovani intraprendenti senza alcuna esperienza di gestione.
Sicuramente è necessario disegnare un giusto ruolo e inquadramento ad ogni attore, in salsa di opportunita’ vincolanti ma stimolanti: imprenditori e Venture Capital/Business Angel, occupati e disoccupati o cassaintegrati da riattivare, startupper e idee innovative, enti bancari e servizi accessori o indotti.
Ci si riferisce ad un processo di “riconversione per innovazione indotta”, un percorso che in passato ha già dato buoni frutti sotto forma d’investimenti produttivi di macchinari o strutturali e di riqualificazione formativa, da sviluppare in chiave attualizzata e contestualizzata.
L’imprenditore non deve essere per forza illuminato, non è un fatto di cultura l’ostacolo in questo caso, superabile se stimolato o rispondendo concretamente all’esigenza di proteggere la propria creatura, suggerendo strumenti e misure per virare in una nuova direzione, quella della ripresa. Anche il più vecchio e conservatore imprenditore o il più riluttante giovane startupper, capirebbero subito il vantaggio reciproco di questa nuova strada da percorrere insieme. La crisi o la necessità di far continuare a vivere o crescere le proprie idee ed aziende è motivo o presupposto della speranza d’interesse, leva motivazionale verso nuove mete.
La scuola bottega artigiana in nuova veste, per molti versi ne è una consolidata traccia storica o modello, la cui variante deve essere quella del creare un giovane imprenditore socio o amministratore della nuova azienda a fianco del mentore che lo adotta, non le formule fino ad oggi viste e vissute o sfruttate.
Non occorrono nuove forme contrattuali e civilistiche, ne esistono gia’ che rispondono in modo soddisfacente con precisi istituti a queste forme di progetto o dal punto di vista dello startupper che consentono di evitare il ricorrere a nuove società e forme societarie o al costituirsi di società estere in paesi meno burocratici o di più facili vincoli normativi, per ospitare iniziali nuovi brand o attività che le supportino, nell’avventurarsi verso nuove innovative mete reciprocamente gratificanti. Non occorre distrarre l’ordinaria gestione di un azienda esistente, viceversa l’ospitante ne potrebbe anche trovare evoluzione e crescita, quale sbocco alternativo al proprio obsoleto o incerto futuro.
Il Venture Capital o Business Angel o agenzie nelle pratiche di Finanza Agevolata se non strutture indirettamente Bancarie, che nell’accezione popolare oggi sembrano muoversi come un moderni speculatori o opportunisti finanziari, potrebbero trovare un naturale e propositivo ruolo quale tramite finanziario (in autonomia propria o per l’accesso al credito) nella gestione nella figura d’advisor o curatore delle nuove relazioni, visioni, paradigmi, norme in sorta di coach operativo o mentore, dell’adozione startupper/impresa, che porterebbe beneficio e ruolo anche a nuovi attori.
Si potrebbe azzardare che ne possano beneficiare risorse umane già disponibili o posteggiate, quali le masse disoccupate e dissuase al lavorare, in una chiave di riqualificazione professionale, affiancabili ai lavoratori occupati dell’azienda ospitante, che ne sarebbero anch’essi fiduciati in una prospettiva alternativa. Specialmente nel caso di quelle predestinate a spegnersi, costituendo la fonte di erogazione immediata di un’organizzazione strutturale, che la nuova azienda diversamente dovrebbe creare e sostenere. La sotto utilizzazione strutturale da contrazione di mercato ne è la naturale certa disponibilità e la motivazione di vedersi collocati in nuove prospettive.
Non servono soldi di stato, solo supporto e inviti o guide ed indicazioni normative, che evitino il ripetersi di erogazioni di finanza agevolata strumentale ad altro, per il tramite di soggetti diversamente interessati. Mentre defiscalizzazioni specifiche, che si rapportino ai soli nuovi ricavi o favoriscano nuovi asset all’interno delle azienda ospitante o newco, non sottrarrebbero l’ordinario gettito fiscale e ne sarebbero lo stimolo evidente.
In una buona famiglia quando il lavoro o la prospettiva di un componente diventa una nebulosa variabile, si cerca una via di riposizionamento del coniuge, in una collocazione che veda nel futuro alternative al passato che decresce e si estingue.
Finanziare o sostenere la costruzione di “nuove case” e diverse leve (competenze ed esperienze) richiede un maggiore sforzo e tempo che la società e il substrato di micro e medie aziende esistenti non può subire e sopportare.
E’ sicuramente piu’ redditizio e vicino nel tempo il contribuire a ristrutturare e rinnovare l’esistente, per non rischiare di rimanere con nulla di nuovo, con il rischio di aver azzerato il consolidato di esperienze e strutture che oggi ancora vivono o spesso sopravvivono ridotto a tenue lumicino.
Uno o piu’ giovani partner adottati da un laboratorio artigiano di falegnameria o un’azienda di servizi, potrebbe con la loro visione, idea, entusiasmo, conoscenza dei nuovi strumenti e senza nuovi iniziali investimenti (o se utili a se stessi e al creare indotto, studiamo come sostenerli) realizzare nuove linee di prodotto (mobiletti per computer) aprendo nuovi canali di vendita ( e.commerce) , di certo trasferendo le conoscenze apprese ma mai messe in pratica, sfruttando la familiarità della competenza digitale di nascita, per promuovere con la visione non prevenuta del mercato o di un nuovo approccio metodologico, chi gia’ esiste. Potrebbero alternativamente, in aziende di servizi, identificare mercati o esigenze realizzando programmi per non vedenti, presentandolo alla prima convention Apple, per conquistare nuovi mercati (vedi Luca Ciaffoni o altri esperienze simili vedi Federico Feroldi) anche di esportazione di competenze (vedasi casi Funabol di Fabrizio Capobianco) fermo restando la produzione e l’occupazione locale, per esportarne il risultato. Sicuramente analoghi casi si svilupperebbero nel mercato dei bulloni o del tondino, dei tessuti o della formazione.
Perché investire e concentrarsi solo nel nuovo, non curandosi dell’esistente, che tende ad essere asfittico o morire? Come rinnegare la saggezza ed esperienza del nonno o la comodità di vivere in una casa già attrezzata e servita?
E’ necessario cortocircuitare le aziende e le nuove leve in un solidale matrimonio d’innovazione multi settore, fruttifero per nuovi attori di domani e per i presenti in affanno.
—
Questo vuole essere un spunto, non un tiro a segno di obbiezioni e preconcetti da superare ( sperando che non si celino nella malevolenza da non tutelare interessi diversi), resto in attesa di ogni spunto, segnalazione, casistica su cui applicare la tesi d’adottare uno o più startupper in ogni azienda che ne comprenda la potenziale leva per la ripresa e l’occupazione, cosi da creare nuove aziende da azienda, che possa contribuire anche dove possa sembrare il tentativo di non sostenerne il valore.